Nel luglio del 1978 John Szarkowski, direttore del dipartimento fotografia del M.O.M.A., presentò presso la stessa sede, la memorabile mostra fotografica “Mirrors And Windows” (specchi e finestre). Questa idea di leggere l’opera d’arte o come un riflesso di noi stessi, quale momento liberatorio di meditazione, o come un interessato sguardo indagatore, va particolarmente bene per leggere le opere di Sara Pellucchi. Nelle opere pittoriche, fatte di segni semplici, di campiture semplici, di colori semplici, di geometrie precise ma realizzate senza la forzatura degli attrezzi del disegno geometrico, questa autrice presenta a noi quell’aspetto intimo di chi ha scremato tutte le sovrastrutture e si guarda dentro attentamente. Anche quando abbandona la geometria e si addentra nelle vaghe forme informali, sempre si coglie la simbologia, che dispiega la strada dell’introspezione. Differente è il suo atteggiamento con la fotografia che non usa nel senso classico del mezzo ma è come un prolungamento del pennello con la novità di guardare attraverso una “finestra”. L’autrice cerca in questo modo conferme a quanto il suo “specchio” ha messo in luce. La semplicità dello sguardo macchina ricalca il suo atteggiamento di fronte alla tela: non c’è bisogno di stupire o recitare grandi proclami. È come se la perfezione (a cui tutti aspiriamo) risiedesse nella consapevolezza dei nostri limiti. Sara usa il segno pittorico “impreciso”, lo scatto “elementare”, per riconoscere senza esitazioni le ipocrisie dei falsi problemi e concentrarsi su poche cose chiare ed imprescindibili. È a questo punto che chi condivide queste visioni entra subito in empatia con l’autrice instaurando quella proficua condivisione agognata dall’artista.
Meda, 07/03/2016
Carlo Arch. Orsi